Introduzione

INTRODUZIONE AL POMERIGGIO DI APPROFONDIMENTO ( a cura del gruppo di ricerca dell'Istituto)

Il progetto "LAVORO/MEMORIA" si articola

  • nella ricerca sulle fabbriche della città 1900/1980 (loro collocazione attraverso mappe/atlanti, loro storia, relazione con lo sviluppo produttivo),
  • testimonianze orali e narrazioni scritte di chi ci lavorava.

 

Il progetto guarda al passato ma ha lo scopo finale di cercare la chiave interpretativa del presente per pensare il futuro, cioè capire la forma cangiante del dominio capitalistico.

Il progetto cerca un approccio "integrato": al fondo c'è la convinzione che occorrano tutti gli strumenti critici di ricerca per comprendere il problema in oggetto; non bastano i vari tipi di "storia" (micro, macro, orale ecc), sociologia, psicologia, economia: occorre la loro sinergia in un approccio olistico, critico e problematico.

La ricerca guarda al '900, secolo che è stato diversamente definito: "secolo breve" (HOBSBAWM), "lungo XX secolo" (ARRIGHI): l'oscillazione stessa delle definizioni esprime una perdurante necessità di comprensione.

Questo presente sembra un tempo avaro, situato tra due creste epocali, una passata e un'altra in un indefinito futuro, un tempo piazzato nel ventre molle della storia, lontano da un epico passato e ancora acerbo dei suoi sviluppi futuri. Da qui l'incertezza nella sua definizione: prima o poi si darà un nome a questo nostro tempo, per ora ci si deve accontentare del prefisso "post" (post-moderno, post-industriale, post-ideologico, post-fordismo ...).

Il 1900 è stato il secolo delle masse, dell'assalto al cielo, MA ANCHE della sconfitta di un certo tipo di movimento operaio. Il XX secolo ha visto la rivoluzione come possibilità, come salto (1917) ma anche come processo. Ha visto le lotte, le mobilitazioni, la scoperta del collettivo e della comunità, del DESIDERIO, del rifiuto del mondo così com'è a livello di massa. Ha visto la furia della pars destruens, ma anche l'invenzione collettiva di una nuova idea di uomo e di mondo, la coscienza civile e il protagonismo di massa. Ha visto la autoorganizzazione di massa e la costruzione delle organizzazioni di massa (partiti, sindacati, associazioni), la creazione di un senso comune dal basso.

L'unico approccio possibile al problema della MILITANZA è quindi un approccio MULTIFATTORIALE. Questa, come del resto tutte le questioni rilevanti, è sintesi di molte determinazioni, quindi complessa, e per scioglierla concettualmente abbisogna di molti strumenti, di un apparato concettuale integrato, della convergenza di molte discipline. La militanza è un RISULTATO, che dipende molti aspetti : economico (momenti di crisi o benessere), sociale (comunitarismo, individuo, socialità), etico valoriale (idee di solidarietà, giustizia), politico (quale tipo cambiamento), ideale (opzione teorica: religiosa, comunista, pacifista) eccetera. Qui si può dare solo un assaggio del problema.

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Il termine MILITANZA deriva dal latino miles/itis = il militare, il soldato; a sua volta derivato da MILLE (ogni tribù latina doveva in origine dare 1000 uomini). MILLE poi deriva da MIL = riunire, e ITEM dal verbo IRE, andare. Insomma "MILITANZA" significa già nel suo concetto qualcosa di collettivo, significa appartenere ad un esercito, è una espressione plurale, che implica strategie, tattiche, movimenti al plurale. Il militante è "uno dei tanti", elemento di un più vasto insieme, senza il quale non ha significato.

La prima evidenza riguarda quindi il fatto che non è possibile parlare di "militanza" al singolare, la militanza è una espressione collettiva.

La seconda evidenza è che è impossibile unificare sotto un medesimo concetto le varie forme di "militanze" che si sono succedute nel '900: nord/sud, uomini/donne, operai/studenti, anni '20 e anni '60, paesi/città, cattolici/comunisti, partito/sindacato: ogni situazione specifica ha avuto la sua particolare forma di militanza. Esiste una oggettiva difficoltà di generalizzare, il percorso giusto dovrebbe essere di tipo INDUTTIVO, dal particolare al generale, partendo dall'analisi dei singoli tipi di militanza per poi giungere ad affermazioni generali, capire cioè se qualcosa accomuni i vari tipi di militanza che si sono succeduti nel '900. Ma queste ricerche non ci sono, e bisogna accontentarsi di qualche fragile ipotesi.

Si può azzardare che ciò che ha accomunato i vari tipi di militanza è:

 

certamente il radicamento nel territorio (fisico, culturale, industriale), la interazione sociale all'interno della comunità di riferimento, una dedizione pratica organizzativa, il riferimento a una aspettativa, a un obiettivo trascendente, anche una UTOPIA (nel secondo senso del termine: un fine), certamente una tensione associativa, un intento PEDAGOGICO, una tensione verso la conquista di adepti e il convincimento, certamente anche una dimensione VOLONTARISTICA, ma in una ottica collettiva e organizzativa, un certo tipo di oblatività, cioè di attenzione ai bisogni della causa e del gruppo di appartenenza, una costante tensione alla contro-informazione, cioè ad una lettura "partigiana" della realtà, e anche una ETICA ed una ESTETICA. La militanza insomma è sempre stata sintesi di universale e particolare, di pubblico e privato, microcosmo di TOTALITA', tentativo di unire particolare e generale, intelligenza di base e strategia di vertice, buona pratica e capacità strategica. Le militanze hanno sempre unito l'ardore della passione politica e il sudore della fatica organizzativa, hanno avuto grande attenzione ai legami interpersonali, all'impegno personale, alla necessità delle mediazioni pratiche in un'ottica strategica. Le militanze hanno avuto sempre RITI e LINGUAGGI, procedure e costumi collettivi (per esempio certe musiche e certi stili di abbigliamento).

Il centro del novecento è stato lo scontro tra lavoro e capitale: il padrone aveva una faccia e un domicilio, l'operaio conosceva lui, la fabbrica, il territorio, i compagni di lavoro, TUTTO. Poteva combattere in uno scontro ad armi pari: lavoro contro capitale.

Non si trattano qui la "forma-partito" e la configurazione statuale, che meriterebbero un discorso a parte.

Alla fine del secolo scorso il padrone è SUBLIMATO (dallo stato solido a quello virtuale dei listini finanziari) e MONDIALIZZATO. Il lavoratore, spesso senza nemmeno la difesa del contratto collettivo nazionale di lavoro, lavora in una azienda che fa parte di un arcipelago di proprietà multinazionali, sotto il ricatto della delocalizzazione, singolo atomo produttivo contro tutta la potenza dispiegata del capitale mondializzato: non poteva che perdere questa battaglia.

Il XXI secolo, l'era dei "POST": volontariato e post militanza

La sconfitta del movimento operaio sul finire del 900 è anche la sconfitta delle sue infinite forme associative, è la sconfitta di una ipotesi di potere sulla società, cui è seguita la reazione e la conseguente rivoluzione conservatrice, e l'affermarsi di un nuovo conformismo di massa, in cui alla passività dell'essere corrisponde l'attività dell'apparire, del narcisismo comunicativo.

Particolare e generale, così olisticamente connessi nelle militanze, si separano: il particolare diventa individualismo, narcisismo, campanilismo egoistico, e nascono movimenti che non vogliono avere una idea generale di cambiamento della società ma semplicemente farsi spazio sul palcoscenico sociale; il generale diventa ideologia universalistica, ritorno del misticismo, fideismo nella innovazione tecnologica e nella comunicazione virtuale. Questo tipo di processi è un classico dei momenti di crisi: le idee forti accomunano e unificano, la loro decadenza provoca processi di divisione e settorializzazione più o meno consapevoli.

Si frantumano gli ideali e gli eserciti militanti: ANCHE DA QUI nascono i mille volontariati e la post-militanza.

VOLONTARIATO

Anche il termine è indicativo: deriva dal verbo latino volére, esprime la volontà, l'attivismo individuale, la decisione di occuparsi dei disagi del mondo senza la passione rivoluzionaria di abbatterne le cause. L'arcipelago del volontariato accantona la critica radicale di sistema, la dimensione utopica delle militanze (che consideravano anche l'impossibile come una possibilità concreta) e la dimensione del pensiero simbolico: il volontariato è molto concreto e indirizzato ad uno scopo eminentemente prassico.

Il volontariato è anche IMPLOSIONE DELLA MILITANZA: separazione tra " l'io e gli altri" che nella militanza era intrecciato. L' io diventa volontariato (massimo della individualità della volontà) innestato NEL PRESENTE; gli altri diventa la massa indifferenziata, la pluralità indistinta della società "liquida", senza connotazione di classe, o l'esercito dei diseredati e dei bisognosi. Laddove nelle militanze prevaleva il rifiuto attivo e alternativo del presente, nel volontariato prevale l'attività positiva, solidaristica, caritatevole. Di passaggio, va comunque tenuto presente che molti studi indicano nel volontariato una attività che risponde spesso ad una esigenza più egoistica che solidaristica, qualcosa che tende più al benessere personale, ad una autoaffermazione, che ad una disinteressata generosità. Inoltre, coerentemente con il tempo della tecnica e della specializzazione, bisogna tenere presente anche la PROFESSIONALIZZAZIONE dell'impegno sociale: il volontariato "statalizzato" delle ONG, un certo pacifismo, persino certi organismi studenteschi, diventano volontariato stipendiato, impieghi normalmente retribuiti di organismi autoreferenziali, quindi un VOLONTARIATO istituzionalizzato, in funzione vicaria, compensativa, aggregato alla spartizione statale delle competenze.

 

Il soggetto cui il volontariato fa riferimento non è conflittuale, non è più una comunità, una parte che si organizza contro un'altra parte, ma la moltitudine bisognosa, la folla intesa come insieme di individui singoli, come unità separate e passive.

POST-MILITANZA I movimenti "militanti" che si sono affermati negli ultimi anni sono "post-movimenti", in realtà spesso si negano come movimenti, teorizzano la natura puramente individuale dell'appartenenza: Occupy wall street, il movimento 99% sono deliberatamente aggregazioni di individui che non vogliono costituirsi come organizzazione. I flash mob sono il simultaneo incontro di individui che l'evento stesso non modifica, che prima e dopo sono uniti da un semplice filo virtuale comunicativo. E' la vidimazione della avvenuta disgregazione delle organizzazioni: disgregazione oggettiva ( per il cambiamento della fase economica, sociale e culturale), ma anche soggettiva (rinuncia al presidio del territorio anche come scelta: il PCI diventa un partito di opinione e chiude le sue sezioni di strada). L'arcipelago no-global e i vari movimenti anti-sistema non percorrono le tradizionali strade organizzative, rifiutano le leaderships e puntano alla democrazia diretta, accantonano l'idea di UN PENSIERO CRITICO FORTE CHE ABBRACCI TUTTE LE DIMENSIONI UMANE, affermano l'esigenza di un ventaglio di "pensieri" settoriali e specifici, senza una scala valoriale, tutti sullo stesso piano, che l'individuo singolo sceglie di volta in volta.

La post-militanza ha molto a che fare con il virtuale, la rete, Facebook . Il contemporaneo impegno politico passa per molta parte attraverso la comunicazione digitale.

E' il POST politico: non il territorio ma la rete, il virtuale come scelta strategica. E questo pone grossi problemi. Il virtuale, in quanto tale, non aggrega persone fisiche ma figure, comunica stati soggettivi standardizzati (espressi secondo le forme standard che lo strumento concede), tendenzialmente di tipo narcisistico (favorisce una autorappresentazione non critica, non problematica, ma destinata ad un uso esterno, quindi sovraesposta). Questa situazione di utenti omologati dallo stesso mezzo comunicativo richiama la ANOMIA studiata negli anni '50: la folla solitaria si è trasferita dalle strade e supermercati come luogo fisico ai "non luoghi" e alla piazza virtuale della rete.

Volendo, si può vedere in questo processo un classico: la reificazione (alienazione), la marxiana ipostasi: lo scambio di soggetto e predicato, il soggetto non è l'essere umano e vivente ma la macchina virtuale che guida e determina il processo comunicativo. Nel meccanismo virtuale ogni cosa vale un'altra, il segno virtuale non ha contenuto soggettivo, è pura immagine anonima, una presenza senza vero contenuto individuale: la presenza virtuale sostituisce al LEGAME CONCRETO, fisico, una connessione che consente solo affiancamento, condivisione formale , apprezzamento, un meccanismo duale (mi piace/non mi piace, condivido/non condivido, partecipo/non partecipo). Al compito fecondativo della ricerca, individuale e collettiva, sostituisce il consumo di prodotti immagazzinati senza gerarchie nell'infinito deposito virtuale

I processi sopra descritti sono oggettivi: il problema non è la condivisione o meno di questi processi, è capire se questa forma VIRTUALE dia conoscenza e apprendimento, o consenta soltanto "opinioni". Se sia davvero la nuova forma della politica e della militanza, se possa cioè creare identità, criticità, responsabilità, conoscenza, se sia CREATRICE DI SENSO.

 

Il kant della "Critica della ragion pura" ha lasciato un'eredità: la ragione degli esseri umani deve rimanere aggrappata all'empiria, al concreto. Se la ragione non resta attaccata alle cose, segue la sua intima natura e se ne va in astrazioni indeterminate, si autonomizza. Lo fa di per sé, anche se parte dai dati concreti della realtà oggettiva, e lo vedono quotidianamente tutti coloro che fanno ricerca: è difficile stare attaccati ai "DATI" di partenza, è difficile non generalizzare, è faticoso il percorso di indagine restando attaccati alle fonti, senza pre-giudizi e senza voli astraenti. Ma se, attraverso il digitale, la ragione parte già da un dato VIRTUALE, cioè da dati non sensibili e astratti , forse accelera la sua latente metafisicità, forse viene favorita la sua naturale tendenza all' idealismo. INSOMMA il virtuale potrebbe essere una forma di metafisica, di idealismo, la rete potrebbe essere una forma di "opinione" che non si struttura in conoscenza e sostituisce l'esperienza concreta. La PROSSIMITA' ISTANTANEA immediata e semplicistica del digitale potrebbe sostituire il faticoso percorso della socializzazione e del confronto critico interpersonale.

Il problema è complesso e tutto da capire, e potrebbe "semplicemente" ripercorrere in altre forme il percorso che portò dal manoscritto alla stampa, dalla radio alla televisione; sta di fatto che a volte sorge spontanea la domanda su chi sia l'AVATAR: se la persona alla tastiera o quel qualcosa dentro il monitor. C'è un evidente PERICOLO di ideologia (falsa rappresentazione): la rete apprende dalle domande e dalle scelte precedenti, e ci anticipa le risposte, in fondo ci fa trovare quello che già sappiamo e non ci impone la sfida della novità. Anche le cose più concrete rischiano di sfumare nell'indistinto: il concreto sfruttamento si può nascondere nei labirinti virtuali, il controllo capitalistico può dileguare nel raffinato impalpabile linguaggio binario, e non essere più percepito a livello comunicativo come in quelle grette e brutali forme ottocentesche (tranne ovviamente per coloro che lo subiscono materialmente e quotidianamente).

Che qualcosa sia cambiato, che ci sia stata una frattura storica, sociale e politica viene confermato da un'altra fonte. Lo "spirito del tempo" è mutato, e ogni cambiamento esterno lavora nella parte umana più profonda: la psiche. La pratica analitica racconta a suo modo il cambiamento avvenuto (Recalcati, Lolli): viene rilevata l'assenza, lo spegnimento, la morte del desiderio, e di conseguenza l'apatia, l'indifferenza, il vuoto, la fatica, il disagio di esistere con l'imperativo del benessere e della felicità. Gli analisti rilevano un soggetto senza centro, dominato dalla spinta compulsiva a un godimento solitario e superficiale, che esclude la relazione e lo scambio profondo con l'Altro, anche a livello simbolico. Se da un lato vi è sgretolamento e angoscia, dall'altro vi è rigidità, conformismo: una mutazione antropologica che porta alla passività come scelta, come linea di difesa di un soggetto debole. Ne risulta la crisi del simbolico, l'eclissi della soggettività, della capacità di raccontarsi: la crisi dunque dell'inconscio stesso. In questa crisi del soggetto, il linguaggio virtuale, digitale, può favorire la falsificazione, l'evasività, la tendenza a risposte che non abbiano come scopo l'azione, la prassi, la concretezza del gesto. Si indebolisce quindi l'apparato cognitivo (si possono spacciare conoscenze che non si hanno), emozionale (l'emotività viene in qualche modo sterilizzata), persino quello morale (il virtuale deresponsabilizza, toglie una vera interazione responsabile).

In questo arido tempo non epocale, se non si vuole essere testimoni passivi del presente, questo deserto va percorso. Per attraversarlo occorre intraprendere un nuovo CORPO A CORPO CON LA REALTA', tanto quella empirica quanto quella digitale, quella fattuale e quella virtuale, ricostruendo una mappa, un territorio, una andatura, un tempo e anche un nuovo linguaggio. Occorre tirare le somme del percorso passato, e delle passate militanze. E proprio dal passato bisognerà ripensare a quella figura che è stata la COLONNA VERTEBRALE di tutti i movimenti, il vero e indispensabile soggetto della militanza: il "teorico militante" (secondo la definizione degli operaisti degli anni '60).

Una sintesi: un teorico che non è un puro intellettuale, un militante che non è un grezzo praticone. Ma un militante che riesce a fare teoria, invenzione nel fuoco della lotta; un organizzatore che, dal suo posto di lavoro, riesce a vedere più lontano, ad avere una visione strategica, ad inserire la sua situazione particolare in un orizzonte più vasto, che riesce a fare sintesi di particolare e generale, tattica e strategia, a coniugare utopia e realismo, forza e delicatezza, passato e futuro in un punto preciso: qui ed ora, nella lotta quotidiana del presente. Occorre salire di livello, riconquistare la realtà per conoscerla nel modo aggressivo della lotta, tornare ad essere quella ANOMALIA IRRIDUCIBILE della società basata sullo sfruttamento.