A scuola col duce: l'istruzione primaria durante il ventennio fascista

A scuola col duce: l'istruzione primaria durante il ventennio fascista
La mostra "A scuola col Duce". L'istruzione primaria nel ventennio fascista è il risultato di un lungo e paziente lavoro di ricerca iniziato nel 1999 attraverso il recupero e l'analisi diretta dei testi scolastici e dei quaderni della scuola elementare del tempo, di cui l'Istituto Perretta possiede una vasta raccolta, andata progressivamente arricchendosi anche in direzione della scuola media inferiore e superiore e di altre epoche a noi più vicine (anni '50, '60, '70).
Uno studio serio e approfondito sulla storia della scuola italiana, di cui la scuola del ventennio non è che una fase, deve per forza collegarsi alla didattica.
L'obiettivo che ci siamo posti con questa iniziativa è la valorizzazione, agli occhi degli operatori scolastici e degli amministratori del nostro territorio, degli archivi scolastici quali fonti principali per la ricerca storica e per il lavoro scolastico.
La mostra è dedicata al ricordo del nostro scomparso presidente, Ricciotti Lazzero, ideatore e sostenitore di questa iniziativa insieme allo storico Gavino Puggioni, che ha dato un importante contributo nella fase iniziale. Ricordiamo, inoltre,il supporto dell'Arci del Trentino per la prima limitata edizione della mostra.
Alla realizzazione definitiva - per  la quale sono occorsi altri due anni di ricerche sia storiche che sulle bancarelle dei mercatini per recuperare ulteriore materiale -  hanno partecipato: Nicola Tusa, per la parte grafica, Flavio Frascarelli per l'assistenza informatica, Nicola De Giorgi per il lavoro di revisione dei testi e Valter Merazzi, che ha coordinato l'intero progetto. Dobbiamo inoltre ricordare quanti, a vario titolo, hanno dato un prezioso aiuto, in particolare,  Maura Sala, Roberta Cairoli, Guglielmo Invernizzi, Pier Paolo Nahmias, Fabio Cani e Franco Sala che ha messo a disposizione la sua preziosa collezione di oggetti e arredi scolastici.
 
La mostra comprende 65 pannelli 70 X 100, esposti  per nuclei tematici, riproducenti per la maggior parte illustrazioni a colori, fotografie e testi ripresi dai manuali scolastici, dai quaderni degli scolari di allora che, insieme ad una serie di quadri riassuntivi, ripercorrono le tappe e i momenti più significativi della scuola di regime.
E' corredata da una ricca esposizione di materiale didattico: libri di testo - dalla prima alla quinta classe elementare - quaderni, pagelle, certificati di studio, francobolli antitubercolari; inoltre saggi pedagogici, riviste e libri di narrativa per ragazzi, fotografie.
Abbiamo seguito un sentiero che i ricercatori storici hanno finora poco considerato. Noi riteniamo questo percorso essenziale per la comprensione di qualunque dittatura, non soltanto di quella fascista.
Il punto di partenza di questo percorso è costituito dalla riforma scolastica varata nel 1923 dal filosofo idealista, ministro della Pubblica Istruzione, Giovanni Gentile e adottata dal fascismo, da poco al potere, senza un preciso programma di politica scolastica.
La riforma presentata come sistematica e costruttiva risposta alla crisi che aveva investito globalmente l'istituzione scolastica, con accentuazioni autoritarie ed elitarie, fu salutata da Mussolini come "la più fascista delle riforme". Tuttavia questo preteso carattere fascista della riforma fu più apparente che reale. Criticata anche in ambito fascista, sottoposta a continui "ritocchi", fu  liquidata dalla "Carta della Scuola" -  progetto di riforma del sistema scolastico presentato dal ministro Bottai al duce e al Gran Consiglio del fascismo nel gennaio del 1939 - che rimase però una semplice indicazione programmatica. La matrice ideologica e politica della Riforma Gentile era decisamente prefascista, ispirata al vecchio liberalismo.
Con l'instaurarsi della dittatura - dopo la crisi seguita al delitto Matteotti - e la fine delle ultime parvenze democratiche iniziava ad attuarsi la progressiva fascistizzazione dello Stato, della società e della cultura. Anche la scuola era sottoposta a radicali trasformazioni. Di fronte alla necessità di inserire sempre più l'istituzione scolastica nella vita della nazione, l'ordinamento gentiliano si rivelò presto inadeguato. Fu dato così il via ad una serie di provvedimenti e disposizioni per fascistizzare la scuola, adattandola alle esigenze educative del regime.
I successori di Gentile al ministero della Pubblica Istruzione alterarono profondamente la sua riforma snaturando l'ispirazione originaria per strumentalizzare la scuola e gli insegnanti come veicoli di propaganda del regime. Nell'istruzione elementare taluni  aspetti  didattici innovatori contenuti nei programmi sottoscritti da Lombardo Radice furono poco per volta svuotati.
La scuola  divenne in questo modo il più efficace strumento per l'organizzazione del consenso di massa. Ed è proprio la scuola elementare il primo e più importante gradino di un lungo processo di irreggimentazione  e indottrinamento il cui obiettivo primario era quello di costruire futuri soldati, uomini ciecamente pronti a "credere, obbedire e combattere".
Questo disegno era articolato in una serie di provvedimenti, riassunti in alcuni pannelli dal titolo "La fascistizzazione delle scuole italiane". Le disposizioni più importanti riguardano senza dubbio l'istituzione dell'Opera Nazionale Balilla (O.N.B.), con la legge del 3 aprile 1926, che inquadrava i giovani dagli 8 ai 18 anni  ((Balilla  fino ai 14 anni, Avanguardisti dai 14 ai 18 anni. Le parallele formazioni femminili - Piccole italiane e Giovani italiane- entrarono a far parte dell'ONB solo nel 1929) e l'introduzione del Testo unico di Stato ( ampio è lo spazio riservato a questi due argomenti all'interno della mostra).
L'O.N.B aveva il compito di curare l'educazione fisica e morale della gioventù italiana, "formare la coscienza e il pensiero di coloro che saranno i fascisti di domani". Integrava e completava l'azione della scuola assumendo una serie di competenze sull'educazione fisica, sulle iniziative parascolastiche, sulla gestione dei patronati, sulle scuole rurali, sulle scuole materne e naturalmente sulle attività premilitari. In teoria l'iscrizione era volontaria in pratica la stragrande maggioranza dei bambini italiani era iscritta volente o nolente all'O.N.B. I legami tra scuola e O.N.B si fecero col tempo sempre più stretti. Nella persona del maestro andavano concentrandosi le funzioni di educatore e di istruttore dell'O.N.B. Alle insegnanti furono affidate in particolare l'assistenza ai fanciulli  più poveri per l'acquisto delle divise, confezionate e fornite gratuitamente, il tesseramento e la propaganda capillare nelle famiglie. Allo stesso insegnante era affidata l'educazione fisica sotto la sorveglianza e la direzione dell'O.N.B. (nel 1928 l'insegnamento dell'educazione fisica diventava obbligatorio per tutti i ragazzi dalla terza elementare in poi). Con il Decreto 12 settembre 1929 il ministero della Pubblica Istruzione fu trasformato in ministero dell'Educazione Nazionale, dove il termine "educazione" assumeva una profonda valenza, implicando tutto il processo formativo. Anche l'O.N.B. entrò a far parte di questo ministero nel  novembre dello stesso anno.
Venne istituito un Sottosegretariato di Stato per l'educazione fisica e giovanile affidato alla direzione dell'on. Renato Ricci, presidente dell'O.N.B.
Poco per volta si realizzò l'unione perfetta tra scuola e O.N.B. La sintesi finale fu  l'assorbimento di tutta la vita scolastica nelle file del Partito. Infatti il 1° ottobre 1938 l'O.N.B., già trasformata in Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.), passò alle dirette dipendenze del Partito e con essa tutte le scuole, in particolare quelle già gestite dall'O.N.B.
Elemento fondamentale del processo di fascistizzazione della scuola  fu l'introduzione del testo unico di Stato. Con  la legge n. 5 del 7 gennaio 1929 venivano dettate le norme per la compilazione e l'adozione del Testo unico di Stato nelle elementari. Esso diventava obbligatorio sia nelle scuole pubbliche che in quelle private.
Fu istituita una  Commissione nominata dal ministero della Pubblica Istruzione, con il compito di "dirigere e coordinare il lavoro di compilazione del testo unico di Stato".  Di essa facevano parte, tra gli altri, Roberto Forges Davanzati, Nazareno Padellaro, il poeta Angiolo Silvio Novaro, la scrittrice Grazia Deledda, Ornella Quercia Tanzarella.
I primi libri vennero presentati nel 1930, ma furono diffusi a partire dall'anno scolastico 1930 -1931. Era previsto un solo testo  per ciascuna delle prime due classi e due testi separati (libro di lettura e sussidiario) per le  tre classi rimanenti. Ogni tre anni tutti i testi avrebbero dovuto essere sottoposti a revisione. La stampa e la vendita era a cura del Provveditorato Generale dello Stato a mezzo della Libreria dello Stato.
Con il Testo unico  lo Stato poteva così esercitare un controllo diretto sull'insegnamento, limitando ulteriormente l'autonomia didattico - educativa degli insegnanti ( già sottoposti ad una progressiva fascistizzazione, costretti al giuramento e ad iscriversi al Partito ).  Con il controllo diretto sull'attività educativa si fornivano itinerari obbligati che gli alunni avrebbero dovuto percorrere per divenire dei "veri fascisti". Non solo, il manuale scolastico si rivelava uno dei più validi strumenti  di diffusione dell'ideologia fascista in numerose famiglie, dove forse entrava come unico libro.
I testi sono infatti costruiti con oculata regia per mettere in scena con racconti, apologhi, episodi, la storica necessità del fascismo.
Con la spiccata ideologizzazione di tutte le materie di insegnamento, non esclusa l'aritmetica, si può tranquillamente parlare di didattica manipolata e asservita alle finalità del regime.
Soprattutto attraverso la lettura di questi libri e l'analisi dei quaderni scolastici è stato possibile individuare i temi più caratterizzanti della propaganda fascista. Un posto di primo piano è naturalmente riservato all'apologia del fascismo. Mussolini, il creatore dell' "Italia nuova", occupava il vertice. Il culto della sua persona raggiungeva livelli davvero impensabili di fanatismo, assumendo forme di vera e propria idolatria (la sua figura  metteva in ombra anche quella, istituzionalmente più importante, del Re), accanto al culto della Patria e delle sue insegne (la bandiera), l'esaltazione della Grande Guerra e dei suoi martiri, il mito di Roma.
La tradizione e il valore della civiltà romana - la Roma Imperiale, il mito di Augusto - costituivano il costante punto di riferimento del fascismo: romano era il Littorio, romane le organizzazioni della milizia e dell'O.N.B., romane le virtù di fierezza e di coraggio che il regime sperava di infondere nei giovani, i futuri soldati che avrebbero combattuto per la grandezza della Patria. Il tema della guerra -  come momento di formazione per la nuova nazione fascista, strumento di difesa della patria e  strumento di espansione e affermazione dell'Italia fascista -  e immagini belliche  sono disseminate un po' dappertutto. Sempre presenti sono anche argomenti religiosi. Si tratta di una religione sempre in sintonia con lo Stato e il partito, conforme allo spirito e al dettato del Concordato.
La scuola diventò  ben presto la cassa di risonanza di tutte le scelte e le iniziative del regime. L'attività didattica e quindi  le letture, i dettati, i temi, gli stessi esercizi di aritmetica  rispecchiavano il clima del periodo, erano il riflesso della politica, dell'economia nazionale, delle campagne intraprese dal regime in diversi campi. Ai  temi dell'autarchia, della battaglia del grano, della lotta antitubercolare, della politica demografica veniva dato ampio  spazio in ogni materia.
Una  politica di alta natalità richiedeva la collaborazione diretta della scuola nella difesa della natalità, nella celebrazione della  famiglia, nucleo sociale basilare, dove il ruolo della donna non poteva essere  che quello di moglie forte e madre prolifica, massaia sobria e attenta, dotata di un enorme spirito di sacrificio. L'attenzione riservata al problema demografico e in secondo luogo alla sanità fisica  e morale dell'infanzia, aveva spinto, come si sa,  il regime all'istituzione - con la Legge 10 dicembre 1925 - dell'Opera Nazionale per la protezione della Maternità e Infanzia (O.M.N.I.), con un'importante azione svolta anche per la creazione di consultori, asili nido, dispensari per lattanti, refettori, centri di assistenza materna e infantile. Ma lo scopo di fondo di simili interventi era per l'appunto quello di poter garantire una riserva umana illimitata, sana  e robusta al "glorioso esercito italiano" e al futuro di potenza e di dominio che attendeva l'Italia fascista . Il piccolo balilla sarebbe stato il  valoroso soldato di domani.
Lo scolaro doveva, quindi, osservare un comandamento rigidissimo che ci fa rendere conto del grado di coercizione imposto ai bambini: "Obbedite perché dovete obbedire". L'obbedienza era la prima, fondamentale e forse l'unica qualità che il fascismo chiedeva ai bimbi d'Italia. Anche il coraggio, che in molte pagine veniva esaltato come modello di comportamento era in realtà fanatismo, poiché veniva richiesto con l'imposizione  e senza possibilità di discussione.
L'intervento dello Stato nella vita scolastica si fece sempre più pesante. Nei nuovi programmi fissati dal ministro Ercole nel settembre del 1934 veniva alla fine  codificata e ufficializzata l'opera di fascistizzazione che era già stata realizzata nella pratica educativa.
I nuovi programmi, compresi e attuati  nel quadro dei provvedimenti per la preparazione militare della Nazione (Legge 31 dicembre 1934) introducevano la pratica e la cultura militare nella scuola (obbligatorie per i ragazzi dagli 8 ai 21 anni ) realizzando pienamente la formula fascista "libro e moschetto fascista perfetto".
Nella seconda metà degli anni Trenta, con la conquista d'Etiopia e la fondazione dell'Impero, il tema bellico assumerà un'importanza sempre maggiore. Con la guerra d' Etiopia, e poi nel 1938 con  la promulgazione delle leggi razziali contro gli ebrei, il fascismo mise in campo le teorie che proclamavano la superiorità della razza ariana nei confronti, in particolare, delle popolazioni dell'Africa Orientale e degli ebrei.
La scuola fu una delle prime istituzioni statali in cui fu introdotto l'antisemitismo, già a partire dall'estate del 1938, con il divieto a tutte le scuole di accettare alunni ebrei stranieri. Una circolare disponeva, inoltre, il divieto di adozione dei libri di testo di autori di razza ebraica e l'immediata revisione dei libri di testo già scelti e approvati.
Con i decreti di settembre insegnanti e alunni ebrei, salvo eccezioni, erano esclusi dalle scuole pubbliche italiane di qualsiasi ordine e grado e anche dalle scuole "non governative ai cui studi sia riconosciuto effetto legale".  A tale misura dovevano adeguarsi anche presidi, direttori, assistenti universitari, liberi docenti, membri delle accademie, degli istituti, delle associazioni di scienze, lettere e arti e tutte le persone di razza ebraica impiegate con qualsiasi mansioni, nelle scuole, negli uffici del ministero, negli enti da questo sostenuti.
I decreti di settembre colpirono 200 professori (98 erano docenti universitari) e 5.600 allievi, di cui 4.400 erano scolari, 1.000 alunni di scuola media, 200 studenti universitari, 114 autori di libri di testo. Con successive circolari fu imposto di rimuovere dalle aule le carte geografiche murali realizzate da ebrei, di sostituire i nomi ebraici di scuole e istituti, fu persino proibita l'accettazione di lasciti o donazioni da parte di ebrei per istituire borse di studio.
Il razzismo divenne materia scolastica fin dai primi anni della scuola elementare, dapprima per giustificare la guerra coloniale con la necessità di "portare la civiltà" ai "popoli selvaggi" dell'Africa, poi per dare un significato alle discriminazioni e  persecuzioni che colpivano gli ebrei.
La paziente, quotidiana, intensiva opera di propaganda nelle scuole e nella vita pubblica diede i suoi frutti. I ragazzi espressero i loro sentimenti di adesione  nei compiti in classe, nei temi, nei diari.
Tuttavia, nonostante l'indottrinamento, il miracolo del sangue guerriero non si compì.
Tutto quell'imponente complesso creato per preparare i ragazzi al futuro combattimento si sfasciò.
La scuola fascista fallì. L'educazione guerriera - con i manuali "manipolati", le adunate, le marce, gli inni, i canti rivoluzionari -  non lasciò traccia sulla crescita  morale di buona parte della gioventù di allora.
Purtroppo ci fu chi, con la guerra, finì in  Russia, in Albania, in Cireneaica, in Somalia, in Tunisia. Molti non fecero più  ritorno. E sotto quella "cappa nera" che aveva soffocato il libero pensiero si formarono gli uomini che alla fine del ventennio avrebbero guidato la democrazia.
"Esaminando ciò che il fascismo ha fatto sui banchi di scuola - ha scritto Ricciotti Lazzero nell'introduzione al libro " A scuola col duce", che accompagna la mostra -  si possono trarre gli elementi per capire e giudicare qualunque ideologia totalitaria nata o che nasca intorno a noi."
Questa Mostra vuole, in fondo, contribuire "ad esaltare quella libertà dell'uomo che comincia difendendo i diritti del fanciullo in formazione nelle aule. Perché la libertà nasce nelle aule delle scuole elementari, dove per la prima volta al bambino viene consegnato un libro. Quel libro deve essere corretto e leale, senza dottrine devianti e senza falsi scopi, aperto all'ottimismo, chiaro, semplice. Sarà poi la realtà della vita con tutte le sue asprezze a modulare il carattere d'ogni creatura a seconda di ciò che porta dentro, e non un uniforme o un canto di guerra."  [Elena D'ambrosio]